Riprende oggi, dopo la pausa estiva, la nostra collaborazione con Giuseppe Merlo, storico dell’arte dell’Archivio di Stato di Brescia. Torna in grande spolvero, è il caso di dire...

 

C’è chi vi cerca risposte (John Fante). Per Santa Romana Chiesa è il termine delle nostre terrene vanità: “Pulvis es et pulverem reverteris”. I vincitori la servono in soffocanti dosi ai vinti. Molti la combattono a suon di stracci, piumini, aspiratori; altri la guardano rassegnati posarsi, giorno dopo giorno, sulle cose sui pensieri.

Alla domanda dove regni la polvere molti, ne sono sicuro, prontamente risponderebbero negli archivi. È vero: gli archivi sono essi stessi polvere delle trascorse vanità; ma è certo che negli archivi la polvere si smuove, si combatte, si “studia”, si trasforma, non sempre con successo poiché è operazione ardua che richiede doti non comuni, in polvere d’oro, in storia viva.

Qual è dunque il regno della polvere: quella dannosa, nebbiosa che opacizzi i pensieri? Nelle apparentemente linde stanze degli assessorati alla cultura, nelle splendenti e colorate sale di musei: siano esse deserte o accalcate di folla nella quale brillantissimi direttori si affannano a tinteggiare pareti, rinnovare, con esiti tra il devastante e l’esilarante, gli allestimenti. In esposizioni che hanno il solo merito di spostare opere da una sede all’altra (forse per spolverare). Nella saccente vanità di storici dell’arte, professori, conoscitori, nell’arrogante pretesa di cultori di storia locale vi è più polvere che negli archivi del mondo; essendo la vanità la più caduca e la più pericolosa delle polveri, assai più dannosa di quella da sparo.

Polverose considerazioni, sgorgate al rientro dopo un periodo di riposo. Un saluto da Brescia,

Giuseppe Merlo