Qualche nota su come le profondità marine siano state immaginate ma soprattutto sulle strategie ideate per esplorazioni in cui il corpo umano si muova libero sott’acqua.
Da quando è comparso sul Pianeta, l’essere umano ha avuto bisogno d’acqua: per bere, per rinfrescarsi, per nutrirsi grazie ai viventi che in acqua hanno il loro habitat, per adornarsi ad esempio con coralli o perle. Dalla millenaria esperienza del rapporto tra uomini e acque sono nati molti miti. Si pensi ai bellissimi racconti greci su Poseidone, fratello di Zeus e dio del mare, che abita nei più profondi abissi insieme alla moglie Anfitrite e ad altre divinità minori: Nereo con le figlie Nereidi, Proteo, i Tritoni, le Sirene.
Ma si consideri anche la storia di Cretesi, Micenei, Fenici, Greci e Romani, ovvero di tutti i popoli che hanno dominato il Mediterraneo. Certamente, per costruire imbarcazioni o aggiustarle oppure per recuperare oggetti caduti nelle acque, questi popoli hanno avuto bisogno di persone capaci di tuffarsi in acqua e restarvi il più a lungo possibile, regolando di conseguenza il proprio respiro. Moltissimi di questi primi nuotatori subacquei sono rimasti ignoti, mentre di qualcuno gli storici hanno riferito le imprese.
E’ il caso del soldato greco di nome Scilla di cui Erodoto, uno storico egli pure greco vissuto nel V secolo a. C, narra le imprese. Durante la seconda guerra greco-persiana, Scilla avrebbe incrementato il tempo dell’immersione attraverso l’uso di un giunco cavo e ricurvo, utile a fare affluire aria nella bocca del nuotatore. La tecnica sarebbe poi stata utile allo scopo di tagliare gli ormeggi di alcune navi della flotta nemica.
Altri esempi di immersioni subacquee, agevolate dal ricorso a recipienti cavi e pieni d’aria e realizzate da soggetti a lui contemporanei, sono riferiti dallo storiografo latino Flavio Renato, vissuto nel quarto secolo.
Le testimonianze del passato sono per lo più affidate a testi scritti.
Molto diversa è la documentazione relativa agli ultimi secoli. Accanto alla descrizione a parole, infatti, esistono anche disegni e oggetti, che costituiscono una preziosa testimonianza della ricerca scientifica.
Già Leonardo da Vinci si cimenta nella progettazione di strutture simili a campane, che contengono aria da utilizzare come riserva per la permanenza dei nuotatori sott’acqua.
A Guglielmo di Lorena (una regione situata tra Francia e Germania) si attribuisce, nella prima metà del XVI secolo, la realizzazione di una cosiddetta campana subacquea.
Nella seconda metà del XVIII secolo, il francese Sieur Freminet inventa un dispositivo di respirazione a circuito chiuso per le immersioni subacquee che ricicli l’aria espirata dal nuotatore. L’inventore, però, muore per mancanza di ossigeno durante la prima sperimentazione dello strumento.
Nel medesimo secolo il medico Alphonse Gal studia i danni che l’immersione può procurare al corpo umano: poiché la massa d’acqua esercita una pressione sul corpo, una decompressione eccessivamente rapida può determinare significativi problemi fisiologici. Il dato conferma quanto già enunciato, nel corso del XVII, dal chimico irlandese R. Boyle.
Nei primi anni del XIX secolo, J. Dean utilizza casualmente l’elmo di un’armatura, come protezione contro il fumo, nel corso di un incendio. L’elmo detto Smoke Helmet diventa prototipo della parte superiore della tuta di un palombaro.
Alla fine del XIX secolo, Paul Bart scopre che i gas componenti l’aria interagiscono con il corpo umano proporzionalmente alla pressione. Nello stesso periodo Henry Fleuss realizza un autorespiratore a ossigeno, in grado di riutilizzare il gas respirato dal subacqueo. L’autorespiratore è perfezionato dalla ditta tedesca Drager, che brevetta un sistema di erogazione dell’aria che eviti l’eccesso di ossigeno. Poco dopo, viene costruito il primo autorespiratore a miscela che riproduce la composizione dell’aria.
All’inizio del ‘900 il fisiologo John Scot Haldane, tramite esperimenti su capre, dimostra quanto azoto in eccesso possa essere tollerato dall’organismo di un mammifero e calcola le prime tabelle di decompressione.
Nel secondo dopoguerra nasce l’erogatore automatico Royal Mistral che permette al subacqueo di respirare a qualsiasi profondità in sicurezza e senza il minimo sforzo polmonare.
Le informazioni fin qui proposte intendono suggerire che ogni disciplina sportiva, con gli strumenti necessari a praticarla, è il risultato di numerosissime prove e, spesso, di altrettanti errori.
Eppure l’umanità persevera nella corsa verso sempre nuove invenzioni; e probabilmente non sbaglia. In effetti, l’acquisizione di esperienze nuove arricchisce ciascun essere umano e lo aiuta a conoscersi e a migliorarsi.
Ciò vale anche per le prove di immersione subacquea.
Al presente, l’attività può svolgersi per svago o con fine agonistico. Può essere realizzata con l’ausilio di respiratori ad aria o ad ossigeno ma anche in apnea. Sempre, comunque, la conoscenza scientifica, che oggi coinvolge studiosi esperti in fisica o in medicina dello sport oppure in ingegneria idraulica, migliora la prestazione.
Solo alla luce dei risultati che gli scienziati raggiungono, chi si immerge può agire in sicurezza godendo di sensazioni davvero uniche.
Luisa Maioli