Dintorno - Stefano Freddi
Il bosco di Arianna (Estratto)
di Michela Valotti
È passato poco più di un secolo dalla dirompente apparizione del Futurismo, fragorosamente concentrato in una palingenesi universale, all’insegna della macchina e della velocità. Nel più ampio contesto europeo che, contemporaneamente, assorbiva le energie dei Fauves e dei Dadaisti, l’avanguardia italiana ribadiva la necessità di un nuovo sguardo sulle cose, immaginando che il dinamismo di un cane al guinzaglio avrebbe potuto fissarsi sulla tela, inseguendo le oscillazioni modulari del pelo dell’animale, a passeggio per la metropoli milanese.
Senza un filo che tracci un percorso, e consenta di voltarsi indietro per ripercorrerne le tappe, come quello che la mitologia assegna alla saggia Arianna, è difficile orientarsi nella multiforme accidentalità dell’esistere, ma anche del creare.
Quel filo, Stefano Freddi l’ha trovato, anzi ne ha fatto una matassa, groviglio fluttuante su superfici a tratti opache e scure, a tratti, invece, specchianti, in un lavorio continuo che richiama un’altra donna della tradizione classica, Penelope, alle prese con la mitica tela.
C’è fatica nel lavoro di Stefano Freddi, per trovare una via d’uscita, quella che porta a superare il bosco, per accucciarsi ad annusare gli odori dei funghi e delle foglie umide dell’autunno, pronte a fecondare quell’humus su cui sono posate, a strati.
Nel rispetto di quel delicato equilibrio naturale che viene sondato per frammenti e pazientemente ricomposto, per dare forma all’impenetrabile labirinto dell’anima.
[Estratto da "Il bosco di Arianna" di Michela Valotti]