Il 23 maggio, data che a noi italiani evoca il ricordo di Giovanni Falcone, diventa da oggi una di quelle giornate che saranno segnate in nero sul calendario di tutto il mondo.
Qui, in quello che ora è il centro del mondo dell’audiovisivo, le immagini che sono nella mente di tutti non riguardano nessuno dei film in concorso, ma sono quelle che giungono da Manchester.
Ancora una volta la (singola) follia umana è capace di condizionare il morale e gli intenti del mondo intero. Il Festival di Cannes risponde con un comunicato stampa ufficiale («The Festival de Cannes would like to express its horror, anger and immense sadness following the attack on the public and the city of Manchester last night. This is yet another attack on culture, youth and joyfulness, on our freedom, generosity and tolerance, all things that the Festival and those who make it possible –the artists, professionals and spectators– hold dear.») e proponendo infine un minuto di silenzio da osservare nel pomeriggio.
Nel frattempo lo show continua e proprio il 23 maggio è il giorno in cui il Festival festeggia ufficialmente il proprio settantesimo anno di vita, con una cerimonia che ha visto sfilare sul red carpet alcuni dei personaggi che ne hanno fatto la storia. Registi vincitori di palme d’oro (tra cui Nanni Moretti, Roman Polanski, Ken Loach) sfilano insieme a Claudia Cardinale, Nicole Kidman, Catherine Deneuve, Pedro Almodovar, Uma Thurman, Juliette Binoche, Cate Blanchett e una sfilza di altri nomi incredibili.
Nel primo pomeriggio era già stato fatto un primo photocall di gruppo che sicuramente passerà agli annali della storia del Festival.
Intanto il concorso continua. Uno dietro l’altro si stanno susseguendo film che, però, non stanno entusiasmando la critica, sollevando meno consensi di quelli che ci si aspettava alla vigilia. Tra i film visti dopo il primo reportage (qui: http://www.51news.it/societa/3358-un-valsabbino-a-cannes-i-reportages-di-cargnoni-dal-festival-del-cinema ), c’è assolutamente da segnalare «120 battiti al minuto» del francese Robin Campillo, dove FINALMENTE il cinema torna a parlare di AIDS: con una messa in scena garbata, delicata, partendo dalle vicende di un gruppo di protesta francese di fine anni ’80, il focus si sposta sulle problematiche di un singolo protagonista, malato terminale di HIV. Non deludono lo svedese Ruben Ostlund con “The Square” e Yorgos Lanthimos con “The killing of a sacred deer”, mentre rimangono molto al di sotto dei propri livelli Noah Baumbach con “The Meyerowitz stories” e Haneke con “Happy end”. Dall’oriente arrivano lavori intimistici, capaci di dare sempre una visione differente dello sguardo, della cultura, della religione e della società: è il caso di “Hikari” della giapponese Naomi Kawse e di “Geu-hu” del coreano Hong Sangsoo.
Continuano a fare bella figura gli italiani sparsi nelle varie categorie: “Fortunata” di Sergio Castellitto fa il suo dovere nella selezione Un certain regard, mentre dopo lo sfavillante “A ciambra” di Jonas Carpignano nella sezione Quinzaine des réalizateurs l’altra grande sorpresa è “Cuori puri”, opera prima del regista Roberto De Paolis: in questa pellicola si incrociano le vicende di due ragazzi (la devota Agnese e il problematico Stefano) dando vita a un incontro di storie di periferia dove l’amore tra i due ragazzi è soltanto una delle piccole venature che increspano un quadro ben più ampio e variegato. Potente, struggente, vivo, “Cuori puri” è capace di ricordarci come il cinema italiano sia ancora capace di offrire nuove speranze a chi lo crede morto e sepolto. Il film è nelle sale già da oggi 24 maggio.
Nicola ‘Nimi’ Cargnoni