Non sono particolarmente smaliziato e ho, per di più, un metabolismo mentale lento: il mio cervello lavora come lo stomaco di un ruminante per cui rumino, da giorni, quale assurdo algoritmo porti a illuminare, con cromatismo da scadente luna park di provincia, importanti monumenti cittadini.
Il rosso è colore augurale, sensuale, caldo: lanterne rosse, quartiere a luci rosse, mutande rosse, rosso di sera bel tempo si spera. È per queste intrinseche, benauguranti qualità che si è trasformato il candore “Botticino” della fontana della Pallata in un bel rosso? Ma il rosso, oltre a incarnare quanto si è detto, è associato all’imbarazzo e alla vergogna: dopo quattro secoli l’Oglio e il Mella si sono improvvisamente accorti di essere nudi e, come i progenitori dopo il peccato, provano vergogna per questo imbarazzante abbigliamento?
Ma il bianco è tenace e più che di rosso i loro corpi ci appaiono rosa: fragolosi e irritanti come un melenso budino. A vampate, da menopausa, la torre di piazza Vittoria qui, complice la fortissima gradazione, la spiegazione è, a mio dire, più facile: è rosso vergogna; vergogna per essere nata fascista. Il giallo è il colore del risveglio, dell’intelligenza, ma è al contempo itterico e bilioso e, pensando a quante furiose arrabbiature i bresciani hanno esternato nell’ex “cattedrale” cittadina delle poste, è senz’altro colore azzeccato.
Superiamo le allegoriche motivazioni nella speranza, temo vana, che si smetta di usare i monumenti come “fuochi d’artificio”. Sono opere d’arte, d’ingegno, simboli nobili delle città e non giostre da sagra paesana. Si smetta questa turpe pratica che, parafrasando Gozzano, “immilla nei led le idee di pessimo gusto”. Buon anno.
Giuseppe Merlo