Quest’anno sono in ritardo. Un’invincibile noia, un torpore inarrestabile, mi assale ogni qualvolta tento di collocare i libri di argomento locale che si sono, purtroppo, accumulati nell’anno appena conclusosi. L’istinto dice: buttali; la coscienza, sia maledetta, mi rammenta la “sacralità” dell’oggetto e quest’ultima vince. Tra uno sbadiglio e un accidente persevero nella conservazione.
Quest’anno sono particolarmente stanco di trincee, caduti, elenchi di soldati buttati su carta patinata senza una reale coscienza storica: ogni comune, associazione, cultore di storia locale, pensionato, casalinga “colta”, si è sentito in obbligo di ricordare. Un’immane tragedia proposta a chili, come le patate al mercato. All’ennesima lettera dalla trincea del povero soldato alla mamma, desisto e mi sposto sulla storia locale: è un errore che pagherò caro.
Pubblicazioni di scarsa qualità, sia di stampa sia di contenuto. Testi mal scritti in una prosa tediosa: come se l'estensore avesse ingurgitato troppo “formaggio coi vermi”, senza averne le capacità digestive. La storia dell’arte, con rare eccezioni, rasenta il comico: povere croste presentate come pale meravigliose, contesti di modesta quotidianità assurti a “Firenze di montagna”. Ben altro avrebbero meritato questi borghi, ovvero un’analisi di come con scarsità di mezzi e d’ingegni queste popolazioni abbiano, con indiscussa fatica, anelato al bello.
Basta libri, esco in città: un’aria di aula mal arieggiata, che induce torpore, m’investe. Dopo mostre sugli animali, sui ritrovati capolavori dai magazzini, tocca alla donna; a quando mostre il cui tema sia la lettera iniziale: poniamo la C? Ben vengano mostre sulle carote, i cavoli, i carciofi, i cavalli e per finire quella sui c…, parola che in questa sede non posso dire, ma il cui allestimento sarebbe alquanto facile e poco dispendioso: una bella sala completamente rivestita di specchi.
Giuseppe Merlo