Pensieri solitari in uno degli ultimi giorni di quarantena, con l’arte come consolazione e la bellezza come nettare. Nuove suggestioni dello storico dell’arte Giuseppe Merlo.

È senz’altro domenica. Un’altra domenica lontana da Ostiano; affetti, amicizie, acqua, radici affidate alla sola memoria. La finestra aperta verso i Ronchi inquadra la Tomba del Cane: sogno neogotico in candida pietra di Botticino. Un sole primaverile scalda la stanza, assopisce il corpo e innesta pensieri. Pensare “in clausura” è pericoloso: ecco perché cuciniamo, lucidiamo, puliamo, riordiniamo; ma nonostante ciò penso.

I vecchi, “gli antichi”, ben conoscevano la differenza tra guerra e peste; noi tecnologici del XXI secolo no. La guerra è paura che sa di sangue e polvere, dunque concreta: dilania le case, devasta le città se pur belle e grandiose (Dresda), polverizza capolavori unici (Padova, cappella Ovetari), depreda musei, affama il corpo. La peste ci fa rintanare (“restate a casa” è l’appello quotidiano), non devasta la bellezza; bellezza negata, fisicamente lontana, ma intatta. Dietro i portoni chiusi quadri, statue, libri riposano in tutta sicurezza. Le nostre dispense sono colme di cibo, i nostri corpi nutriti all’eccesso; ma la paura è nostra costante compagna. Una paura senza odore, senza sapore: la più pericolosa.

Unica difesa che possiedo contro questa insidiosa paura è la diga che mi protegge le spalle (vedi foto). È una diga da cui posso togliere senza pericolo di crollo, a mio piacimento, i mattoni. I mattoni tolti in questa domenica: la splendida pubblicazione di Giovanni Reale sulla Disputa del SS. Sacramento di Raffaello (in copertina) e una corposa monografia di Caravaggio nella quale trovo una nitida riproduzione del Cristo Deposto della Pinacoteca Vaticana (sotto).

Cosa accomuna il “divino” Raffaello al “collerico” bergamasco, oltre le indubbie doti e la genialità? La fatica. Nel primo scaricata nell’ideazione nel disegno (il suo corpus grafico è sterminato), nel secondo direttamente sperimentata nella tela. Perché scegliere la Disputa e la Deposizione? In entrambe è ben visibile, in un piccolo dettaglio, la salvezza tramite la morte è il dolore. Il Cristo in gloria, circonfuso nell’oro, dell’urbinate mostra chiaramente i palmi delle mani segnati dalle stigmate. Il corpo abbandonato sull’orlo del sepolcro ostenta, nel primissimo piano, la mano devastata dal chiodo. Sia Raffaello sia Caravaggio morirono, come tutti sappiamo, a trentasette anni. Uno nel suo letto romano circondato da affetto e l’altro, sognando il ritorno nell’urbe, solo in terra straniera; ma entrambi certi di risorgere. Grandezza d’altri tempi.

Giuseppe Merlo