Giuseppe Merlo, storico dell'arte dell'Archivio di Stato di Brescia, torna a condividere i suoi pensieri dopo una passeggiata per il centro cittadino, ritinteggiato di fresco qua e là. Lo fa con la sua consueta, graffiante ironia.
Nostalgia per l’età adolescenziale o inizio di un declino cognitivo se in questi ultimi tempi passando, ammetto forse troppo rapidamente, in sfregio all’antico palazzo vescovile non riesco a frenarmi e canto, ahimè con note stonate: “Il vescovato è troppo azzurro e lungo per me”? Amore per i fasti del secolo dei lumi o inconscio desiderio di anticipare, sulla terra, i colori che si immaginano nel sognato paradiso ha guidato coloro che hanno scelto un azzurro, che più azzurro non si può, per l’antico palazzo; palazzo che condivide la sorte di molte architetture cittadine le quali, negli ultimi tempi, hanno visto mutare radicalmente di tono i loro nobili prospetti, senza nessuna relazione per l’epoca della loro realizzazione.
Queste colate di “cipriose” tinte hanno di fatto trasformato consolidati angoli della città. È l’effetto sortito dal verdino, da illustrazione francese “art nouveau”, steso a piene mani sugli articolati prospetti di palazzo Martinengo Colleoni che mal lega col, forse troppo ritrovato, candore che sa di “talco” delle parti in pietra di botticino e cozza col verdone condominio anni sessanta del Novecento, con cui si sono verniciate le persiane (nelle foto).
Ma siamo capitale italiana della cultura e il revival neo settecentesco vuol forse, per oscure trame, paragonare il presente alla frivola grandezza di quel secolo. Capitale italiana della Cultura: formula magica che pare apra la città a mesi di eventi unici, indimenticabili. Si preannunciano mostre mai prima pensate (Ceruti e i maestri del Cinquecento mai messi in mostra?), glorie di luci, spettacoli mirabolanti, anticipazioni che mi riportano alla mente le parole che Papini pronunciò in occasione di un antico Giubileo: “Ma vedo già locandieri, bagattelieri e gazzettieri all’imposto”.
Giuseppe Merlo