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Ariel, che abbiamo imparato a conoscere in queste settimane, interviene su un argomento insolito e interessante con la sua solita, piacevole leggerezza.

Quanti disagi nelle nuove presentazioni. Molti, oggi, vivono o attraversano situazioni per le quali la terminologia classica non trova la giusta dimensione per dichiarazioni e espressioni. E' il caso delle varie fasi sentimentali della vita in cui – sempre più spesso – ci si ritrova a utilizzare termini adattati alle nuove circostanze. Alcuni anni fa questo compito era assai facile e con l’aiuto del v.v. (santa la mia professoressa di italiano che più di 30 anni fa per ogni nostra richiesta o dubbio ci ammoniva con il classico v.v., ossia vedi vocabolario) vedremo insieme cosa è successo.

Marito: uomo unito in rapporto coniugale. Nominato anche coniuge o sposo.

Moglie: in latino donna.

Fidanzato o fidanzata: che o chi intrattiene una relazione amorosa.

Compagno o compagna: etimologicamente il termine compagno rimanda al mangiare insieme, dal latino medievale companio. Per Sartre, si è compagni solo se si ha un progetto comune da compiere insieme.

Il problema, forse meglio definirlo disagio, nasce quando non si è più incasellati in nessuno di questi termini. Non si è più coniugi o sposi dopo il divorzio; anche se non espressamente correlato, il termine fidanzato o fidanzata sembra ancorato a periodi più acerbi e spensierati della vita – la giovinezza - ; essere il compagno o la compagna riporta a declinazioni più politiche che etimologiche. E allora come risolvere l’arcano?

Due amici, in contesti e modi diversi, mi hanno fornito la riappacificazione dell’anima e un bellissimo senso di serenità interiore che non provavo da tempo. Il primo, durante un incontro di lavoro, mi ha mostrato una cartolina con la scritta Amor. Ho subito pensato che sarebbe stato bellissimo presentare quale amato, la persona a me vicina. La declinazione del participio passato del verbo amare è comunque espressione dubitativa rispetto al disagio.

Ieri sera un secondo amico mi è venuto in soccorso, esprimendomi la lampante ovvietà del passaggio dialettico. Mi dice, infatti, di comprendere le sfumature oggetto delle mie riflessioni, ma di porsi in luce diversa rispetto alla soluzione. Se desiderio o necessità di presentazioni esistono o si creano, perché utilizzare filtri e distanze? Io sono io, con la mia essenza e identità di individuo; io ho un nome e la mia persona racchiude la forza e la dolcezza per esprimerlo nella sua completezza. Non importa ciò che desidero trasmettere agli altri o ciò che gli altri recepiscono; è vitale presentare o presentarsi. Buon fine settimana, vi presento Ariel, io sono Ariel.