La Valsabbia ricorda il sacrificio di Emiliano Rinaldini, maestro e partigiano barbaramente ucciso 75 anni fa. La commemorazione è avvenuta a Belprato di Pertica Alta con una messa celebrata da Don Raffaele Magnolini e un ricordo civile. Ecco le parole di daria Gabusi, storica e docente universitaria:

                Ricordiamo oggi, con profonda gratitudine, nella chiesa dove si celebrò il suo funerale, uno dei giovani partigiani al quale venne strappata la vita nella guerra di Resistenza al fascismo e al nazismo, combattuta per restituire all’Italia la pace e la libertà, nella speranza di edificare una società liberata dal nazionalismo e dal razzismo.

                La breve esistenza del maestro Emiliano Rinaldini rappresenta pertanto un invito sempre vivo all’assunzione di responsabilità di fronte alla storia, un invito a compiere ciascuno la propria parte, a conoscere il proprio tempo e ad agire per renderlo migliore.

                La scelta partigiana di Rinaldini è una scelta pensata e sofferta, che affonda le radici nella formazione familiare (la madre educa i quattro figli all’amore reciproco e all’amore verso il prossimo bisognoso), ma che poi progredisce nella formazione spirituale ed etico-civile, grazie a padre Manziana, ai padri filippini della Pace, all’incontro con don Tedeschi e Chizzolini, all’amicizia con Lino Monchieri.

                La ribellione del giovane maestro prende perciò forma come ‘processo’ e ‘percorso’, come maturazione di una coscienza profondamente cristiana, sensibile alle ingiustizie sociali.

                Oltre che dalle persone, la sua formazione trae linfa vitale dall’incontro con i libri: uno risulta così significativo per la vita di Emi da assumere una valenza quasi simbolica: è l’Imitazione di Cristo, che verrà trovato addosso al suo corpo intriso di sangue. Nelle lunghe sere della clandestinità, come ricorda il compagno Perucchetti, «Non mancava mai la preghiera e la lettura di un brano della Imitazione di Cristo».

                Molteplici sono dunque gli elementi che contribuiscono alla crescita di una personalità critica e autonoma e che lo conducono poi a sentire la necessità morale di abbracciare l’antifascismo e la resistenza.

                Anche la scelta di Emiliano, come per molti altri giovani, matura in primo luogo come atto di dis-obbedienza: per evitare di rispondere ai bandi di arruolamento della Repubblica sociale italiana, si rifugia in una baita in alta Valtrompia. Ma dopo tre mesi, a fronte di un nuovo decreto per i renitenti, ai primi di marzo del ’44 decide di presentarsi a Brescia in caserma. Si collocano in questo periodo – segnato dalla fucilazione di Lunardi e Margheriti – alcune profonde riflessioni sulla carità «che tutto abbraccia e assomma», sulla giustizia e sulla misericordia, tre fuochi che guideranno poi la sua azione nella guerra partigiana.

                Nell’aprile del 1944, quando scopre che il suo reparto sta per essere inviato in Germania, la decisione di abbandonare la città e salire sui monti diventa completa e irreversibile: è consapevole di rischiare la vita (sua e della famiglia) ma sceglie di farlo.

                Giunto in Valsabbia, diventa vice comandante del gruppo «S4», nella Brigata «Giacomo Perlasca» delle Fiamme Verdi (comandata da Ennio Doregatti), guida e partecipa ad azioni di sabotaggio e di approvvigionamento armi con perizia e determinazione, declinando la mitezza del carattere in ferma capacità decisionale.

                L’intera famiglia – come temeva – è coinvolta dalla sua scelta: il 19 agosto 1944 viene arrestato il fratello Federico (deportato e ucciso in Germania); il 10 settembre il padre, la madre e la sorella Giacomina (deportata anch’essa in un lager dal quale riesce a far ritorno l’anno dopo).

                Il 7 febbraio 1945 durante un rastrellamento, Rinaldini viene catturato dai fascisti a Odeno, condotto – assieme a don Lorenzo Salice – alla sede delle SS e della GNR a Idro, torturato e poi riportato in montagna con l’intento di estorcergli informazioni.

                Sulla mulattiera che da Belprato conduce a valle, poco oltre la chiesetta di San Bernardo, Emi subisce una feroce esecuzione senza processo e senza condanna, forse solo per essere rimasto tenacemente fedele alla sua scelta, salvando con il silenzio il paese, gli amici e i compagni. Gli viene ordinato di togliersi le scarpe e di scappare: il suo corpo viene invece fermato per sempre nella gelida neve di febbraio, colpito da una raffica di mitra alle spalle. Ha da poco compiuto 23 anni.

                Il percorso che lo porta alla scelta definitiva e consapevole di ribellione al fascismo e al nazismo è testimoniato da un diario di grande intensità spirituale: da quelle pagine – che sentiremo leggere, assieme a due lettere – emerge costantemente l’esigenza dell’educazione del carattere e della volontà, l’impegno per il perfezionamento alla luce del Vangelo: elementi che lo portano ad agire nella speranza di far nascere, dalle macerie della guerra e dalle ceneri dei totalitarismi, una società più cristiana e più giusta, che lo portano a divenire «ribelle per amore».