Terzo intervento di Enzo Galligioni, già primario del reparto di oncologia del Santa Chiara di Trento, da lui stesso fondato e diretto per 20 anni, già presidente della sezione trentina dell’Associazione Nazionale dei Primari Ospedalieri (ANPO), attualmente presidente della Fondazione Pezcoller, nata per sostenere la ricerca sul cancro, e direttore scientifico degli ambulatori Raphael, nel Bresciano. Oggi il focus è sui progressi della ricerca e sul sostegno ai ricercatori.

 

L’articolo precedente si concludeva sottolineando l’ottimismo dei ricercatori sui farmaci di ultima generazione che, agendo come la chiave del blocchetto di accensione di un veicolo, riescono a bloccare la diffusione delle cellule tumorali. Antesignano di questa frontiera è un medico americano, Tony Hunter, a cui va il merito di aver scoperto la cosiddetta “chiave”. Nel 1979, Hunter fu infatti il primo a isolare la tirosina kinasi, una proteina che agisce come un interruttore, controllando il ciclo cellulare. La sua scoperta sta tuttora ispirando la ricerca, che si è sviluppata lungo la strada tracciata ormai quasi 40 anni fa e ha portato ai farmaci a bersaglio molecolare, con nuove preparazioni in continuo sviluppo. Galligioni ha avuto l’onore di incontrare Tony Hunter in questi giorni a Trento, perché la fondazione da lui presieduta gli ha assegnato il premio Pezcoller 2018 (nelle foto), riconoscimento attribuito in collaborazione con l’Associazione Americana per la Ricerca sul Cancro (AACR).

Fondazione Pezcoller. Fin dal suo arrivo a Trento, nel 1996, Enzo Galligioni entra a far parte della fondazione Pezcoller, di cui oggi è presidente. Un’istituzione nata per promuovere la ricerca sul cancro era in effetti lo sbocco naturale per chi da sempre si è dedicato con passione all’oncologia. «Con la pensione – confessa il primario – ho dichiarato di non voler più esercitare la professione perché le conoscenze evolvono troppo in fretta e il rischio di non garantire la miglior cura possibile diventerebbe troppo alto per chi non è più quotidianamente in prima linea. Il contatto con scienziati di calibro internazionale e le attività della fondazione sono dunque diventati un modo diverso di continuare la stessa battaglia, mettendo a disposizione la mia esperienza». Un nuovo punto di vista, una nuova sfida da affrontare con competenza e determinazione, doti del resto da lui già ampiamente messe in gioco nel corso dell’intera vita lavorativa.

Nata nel 1980 grazie al patrimonio di Alessio Pezcoller, storico primario del Santa Chiara di Trento, la fondazione che porta il suo nome è diventata di respiro internazionale a partire dal 1997, quando ha avviato la collaborazione con l’Associazione Americana per la Ricerca sul Cancro, la più grande al mondo a occuparsi di cancro, fondata fin dal lontano 1907. Da allora il premio all’eccellenza scientifica, assegnato annualmente da un comitato internazionale di altissimo livello, è diventato il più importante riconoscimento per la ricerca oncologica a livello mondiale. Basti pensare che ben tre scienziati premiati dalla fondazione Pezcoller hanno successivamente vinto anche il premio Nobel per la medicina, con le stesse motivazioni.

Le attività promosse dalla fondazione Pezcoller si sono poi moltiplicate negli anni, anche grazie a numerose donazioni, e permettono oggi di organizzare un simposio annuale con i migliori ricercatori al mondo e numerosi seminari, ma soprattutto di sostenere la formazione dei giovani in ambito scientifico. Viene per esempio finanziata la partecipazione dei giovani ricercatori a congressi internazionali, sostenuta la loro attività di ricerca tramite borse di studio ed è stato istituito un premio europeo per i migliori giovani scienziati entro i quindici anni dalla laurea. Per maggiori informazioni si può visitare il sito www.pezcoller.it.

Le storie. L’esperienza accumulata negli anni ha scolpito questo medico, padovano di nascita e trentino – oltre che un po’ bresciano – di adozione. Galligioni porta nel cuore i visi e i nomi di innumerevoli uomini e donne che ha accompagnato per tratti di strada a volte lunghi e dolorosi, curandoli con i migliori farmaci e le migliori terapie a disposizione, ma senza mai trascurare di guardarli negli occhi e dare sollievo anche ai pesi delle loro anime. «L’empatia è fondamentale – continua il primario – e crea un circolo virtuoso preziosissimo. Ma per quanto io abbia dato in questi anni, altrettanto e anche di più è quello che ho ricevuto».

Snocciola così le storie di giovani e meno giovani che ha incontrato, seguito e ricorderà per sempre. Persone talvolta di una forza straordinaria, al punto da guardare in faccia la morte affrontandola con coraggio e lucidità fuori dal comune. «A volte si è trattato di padri di famiglia, che volevano sistemare le cose per tempo, altre volte di madri, sempre più la componente “forte” della famiglia: queste donne si preoccupavano di rendere meno dolorosa e traumatica la vita di chi sarebbe restato. Sono persone che mi hanno colpito nel profondo e mi hanno insegnato molto». Tra tutte le storie, Galligioni ricorda volentieri come emblematica quella di un sedicenne della Val di Sole, giunto in ospedale con un tumore in uno stadio avanzato, che tuttavia grazie alle terapie è riuscito a superare i momenti critici fino a stabilizzarsi e poi giungere alla remissione totale della malattia. Quel ragazzo ora è sposato, ha un’attività in proprio e torna ogni anno a salutare chi lo ha salvato: un alito di speranza, che dona forza e coraggio a chi sta combattendo.

Giovanna Gamba

Gli articoli precedenti pubblicati in: “Non chiamatelo male incurabile!”. Parla l’oncologo/1“Non chiamatelo male incurabile!”. Parla l’oncologo/2.