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L’ultimo suo libro appena stampato, dedicato a D’Annunzio, gli è stato consegnato sul letto d’ospedale, tre giorni fa. È stato l’ultimo gesto capace di strappargli un mezzo sorriso. Poi il buio. Ieri, a 83 anni (era nato l’1 luglio del 1940) si è spento all’Ospedale Civile Costanzo Gatta, decano dei giornalisti bresciani, uomo di cultura e di garbo, scrittore e autore teatrale, memoria storica della città. Se l’è portato via in poche settimane una malattia improvvisa, aggressiva, brutale. La sua produzione culturale è sterminata.  L’indice delle biblioteche bresciane conta (per difetto) 164 suoi titoli. Sul Corriere Brescia ha firmato quasi trecento articoli. Un giornalista prolifico, innamorato del suo mestiere, curioso delle storie degli uomini e delle donne del suo tempo, con un gusto inestirpabile per la notizia. Il giornalismo l’aveva respirato in casa fin da piccolo. Il padre Alfredo era cronista culturale del Giornale di Brescia. Morì precocemente in un incidente stradale.

Costanzo ne ha seguito le orme nelle testate che ruotavano attorno a don Antonio Fappani: l’Italia, la Voce del popolo. L’iscrizione all’Ordine dei giornalisti risale al 1967. Poi arriva, precoce, l’avventura milanese nella “Notte” di Nino Nutrizio: orari impossibili per sfornare il quotidiano del pomeriggio che è stato palestra di tanti talenti del giornalismo. Sulla piazza milanese nasce, ad esempio, l’amicizia e la stima con un giovane Vittorio Feltri. Costanzo segue tutta la carriera interna: redattore, caposervizio, caporedattore, inviato. Il 6 settembre 1972 è a Monaco per seguire le Olimpiadi: è il primo giornalista al mondo ad annunciare che nel villaggio olimpico i fedayn hanno sequestrato gli atleti della nazionale israeliana. Costanzo ha concluso il lungo percorso giornalistico come direttore di un settimanale a Biella e con un’incursione alla guida di Telenord. La nascita del Corriere Brescia aveva segnato per lui una seconda giovinezza professionale: dalla sua penna sono uscite storie, racconti, memorie, ma anche notizie freschissime trovate da un cronista che aveva uno sguardo vigile e affettuoso verso la sua città. Uomo di teatro, aveva concorso alla nascita della Loggetta e scritto una trentina di testi (alcuni con Renzo Bresciani e Giorgio Sbaraini) da “Föra le palanche” del 1970 a “Oh che bella guerra” del 2015.

Conosceva come pochi altri il dialetto, la cultura popolare, le espressioni dialettali a cui aveva dedicato moltissimi libri. Infine l’innamoramento per D’Annunzio: Costanzo aveva pubblicato numerosi libri sul Vate, facendosi accogliere nella ristretta cerchia nazionale dei dannunzisti. Pochissimi gli incarichi pubblici: nell’assemblea del Ctb, nella giuria del Premio San Faustino di poesia dialettale, nel comitato scientifico della Rivista civiltà bresciana. Tantissimi gli amici che ora si stringono al figlio Alfredo per dichiarargli il bene che hanno voluto a Costanzo. E che lui ha voluto a Brescia, e a uno strano mestiere chiamato giornalismo. 

Massimo Tedeschi