“Associazione cuochi”, ovvero la bellezza della collaborazione.
“L'alta cucina non è una cosa per i pavidi; bisogna avere immaginazione, essere temerari, tentare anche l'impossibile e non permettere a nessuno di porvi dei limiti, solo perché siete quello che siete. Il vostro unico limite sia il vostro cuore. Quello, che dico sempre, è vero: chiunque può cucinare, ma solo gli intrepidi possono diventare dei grandi.”
Così dice il cuoco Gusteau nel film “Ratatouille”, un cartone animato del 2007 che ha come protagonisti sia esseri umani che topi.
La frase è bellissima ad un primo ascolto. Ma viene in un certo senso ridimensionata nel corso della narrazione filmica.
Infatti, Gusteau, che pure ha un alto sentimento della sua professione, non sa accettare alcuna critica e muore proprio per il giudizio negativo che della sua cucina esprime il critico Ego. L’eredità di Gusteau viene però acquisita sia dal topo Remy sia da Alfredo Linguini, il giovane che sa ascoltare ed obbedire a Remy.
E’ infatti il topo che inventa un modo insolito di preparare la ratatouille ed è al topo che Linguini dà retta, realizzando così la pietanza prelibata che dà il titolo al film e che ottiene l’approvazione del severo critico per cui Gusteau è morto.
In altri termini, è la coppia Alfredo e Remy che vince. Solo in coppia, in effetti, i due hanno ciò che davvero è indispensabile per preparare cibi speciali: coraggio, immaginazione, ma anche disponibilità all’aiuto ed al confronto, oltre che l’umiltà di migliorare se stessi con ciò che è a sé esterno.
Proprio ricordando la lezione che il film “Ratatouille” propone, decido di accostarmi all’“Associazione cuochi”. Prevedo infatti di conoscere non persone che vivono isolatamente, ma individui che si mettono in relazione fra loro per accrescere le personali abilità.
Ed è con una disposizione del genere che incontro Carlo Bresciani (anche noto come Charlie), un rappresentante locale dell’ “Associazione Cuochi Bresciani”.
Il signor Bresciani mi spiega che l’Associazione, di cui egli pure è membro, è nata nel 1958 grazie all’iniziativa di dieci cuochi.
All’inizio, il gruppo ha riunito solo professionisti del nord Italia, ma nel 1972 si è esteso a tutto il territorio nazionale, assumendo il nome di “Federazione Italiana Cuochi”.
Attualmente, la Federazione, che ha la sede centrale a Roma, raggruppa 120 associazioni provinciali e 10 delegazioni estere; inoltre conta 16.000 associati (per lo più di sesso maschile, probabilmente per la fatica fisica e l’arco di tempo giornaliero che l’esercizio della professione richiede).
Lo scopo, non di lucro, è quello non solo di valorizzare la professione ma anche di sostenere la formazione professionale degli associati – giovani e meno giovani – attraverso corsi, finanziati dalla Federazione ed estesi a tutto il territorio nazionale.
Collegato alla Federazione Italiana Cuochi, anche a Brescia si è costituito, nel 1974 e grazie all’impegno del maestro Enzo Del Lea, il gruppo denominato “Associazione cuochi bresciani”, che, per la zona del lago di Garda, ha la sede presso il ristorante “Antica Cascina San Zago” di Salò.
Dell’ Associazione bresciana l’attuale presidente è Franco Alessi, da poco subentrato a Carlo Bresciani (ora vicepresidente della Federazione Italiana Cuochi).
I partecipanti sono sia professionisti, sia allievi di scuole alberghiere, sia soci sostenitori (ad esempio, imprenditori o ristoratori, che però non godono del diritto di voto). A tutt’oggi, i soci sono circa 200, in gran parte professionisti.
La tessera d’iscrizione costa 50 euro per i professionisti e la metà per gli allievi cuochi.
Oltre a sostenere la formazione permanente, l’Associazione bresciana partecipa alle “Olimpiadi di cucina” che si svolgono nel Lussemburgo, è attiva all’interno dell’“Accademia arti e mestieri della buona tavola”, raccoglie denaro a scopo benefico (per esempio, a favore dei terremotati di Haiti oppure di soggetti affetti da
particolari patologie) anche organizzando corsi di cucina presso aziende che mettono a disposizione forni ed altra attrezzatura.
Ma il gruppo bresciano è impegnato pure per lo sviluppo del territorio di cui si sente parte. Perciò è tra gli organizzatori della Fiera di Montichiari, al cui interno cura un concorso di cucina nazionale.
Il signor Carlo mi racconta poi come l’interesse per il cibo possa nascere da eventi molto diversi fra loro: esperienze familiari, incontri fortuiti, ammirazione per alcuni personaggi.
Nel suo caso, ad esempio, sono state importanti l’abilità culinaria di una zia ed il sapore di un plum-cake, assaggiato nel giorno di apertura al pubblico, che la scuola alberghiera a Villa Alba di Gardone Riviera aveva organizzato nel lontano 1971.
Molti sono risultati i momenti significativi nella carriera del mio interlocutore.
Emozionante, ad esempio, è stato l’incontro con Giovanni Paolo II, in occasione della visita pastorale del pontefice a Brescia. In quella occasione, Bresciani ha avuto il piacere di essere nominato cuoco ufficiale. Ma, mentre con i collaboratori realizzava il piatto tradizionale del Garda, ossia luccio con polenta, la polenta è risultata troppo cotta, per cui, nell’impossibilità di preparane altra, Bresciani ha salvato la situazione, proponendo una modifica della ricetta tradizionale tramite la cosiddetta polenta affumicata.
Nel tempo, comunque, Bresciani ha continuato la propria formazione tanto da integrare i prodotti tipici della sua terra d’origine con altri provenienti dal resto del Pianeta, in particolare dal Giappone (nazione presso la quale egli spesso si reca).
Non è detto, poi, che tutto sia facile anche per un cuoco esperto.
Carlo mi racconta, ad esempio, che una particolare ricetta, quella dei ravioli ripieni di olio di oliva, continua a farlo disperare, perché ogni volta c’è il rischio che il ripieno non solidifichi.
Sottolinea anche che per lui la formazione presso un Istituto alberghiero è stata molto importante. Ma, da allora, le cose sono cambiate.
In particolare, i giovani, che vengono diplomati dagli istituti alberghieri, necessitano di molto più esercizio, rispetto a quello che una volta serviva, prima di acquisire un’autonomia in ambito culinario.
Oltre all’esercizio, però, è fondamentale il confronto permanente con altri colleghi, proprio come l’Associazione cuochi sostiene a livello sia nazionale che locale.
Certo – come l’esperienza di Expo ha ricordato – tutti gli esseri umani hanno il diritto di avere cibo sufficiente per sopravvivere. Perciò il primo scopo di una buona cucina è quello di utilizzare i prodotti di un territorio al fine di garantire la sopravvivenza alimentare dei suoi cittadini.
Ma, oltre a ciò, una buona cucina deve anche contribuire ad accrescere il piacere dell’essere vivi, confezionando sapori, colori, odori che attengono in un certo senso all’esperienza artistica.
Il piatto su cui deporre il cibo può cioè essere concepito come la tela per un pittore o il marmo per uno scultore o la pellicola vuota per un regista.
Sta al cuoco, che della sua professione fa un’arte, riuscire ad inventare abbinamenti nuovi!
Ed è con una riflessione del genere che l’incontro con un abile cuoco della nostra zona si conclude.
Luisa Maioli