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Neppure il caldo ferma la penna graffiante di Giuseppe Merlo, storico dell’arte e nostro collaboratore. Oggi lo spunto viene dal ricordo degli odori della sua infanzia in campagna.

Sono nato e cresciuto in campagna: una campagna anni sessanta, impregnata di odori forti; penetranti, ma vivi. Il letame fermentando donava all’aria delle cascine un “profumo” inconfondibile che sapeva di vita. Sono trascorsi molti anni, ma di quegli odori ho ancora sentore. Di contrasto ben ho a mente il profumo di calce delle rustiche cucine a primavera, o dei pavimenti in cotto ben spazzati e lavati. Per le mie due nonne vigeva una regola sacra e inviolabile: fuori la campagna, con i suoi odori, nelle case il pulito e la sua freschezza.

Della campestre infanzia una cosa mi è rimasta: non tollero lo sporco “improduttivo”, degradante delle città e il suo odore di marcio. Stamane uscendo da casa ho provato disgusto, schifo per l’immondizia abbandonata, per i cassonetti mal lavati che quotidianamente trasformano un tratto di corso Cavour in discarica. Probabilmente chi amministra ha avuto ben altra infanzia.

Cultura è ordine e pulizia: mostre, convegni eventi vengono dopo. In attesa dell’ascensore per il castello, priorità cittadina, che mi porterà senza fatica a respirare aria più fresca, mi consolo con i colori delle tappezzerie dei musei cittadini e col rumore dei cubetti di porfido che provoco quando in bicicletta percorro la dissestata via Mazzini.

Un saluto da Brescia,

Giuseppe Merlo