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Forse passando per la gardesana qualcuno si è chiesto a chi sia dedicato il cippo posto sulle rive del lago in località Bine, un paio di chilometri prima di Limone. Il nostro collaboratore Giuseppe Cinquepalmi ci narra la storia di una tragedia dimenticata, l’affondamento della cannoniera Sesia nelle acque del lago nell’ottobre del 1860.

Dopo la seconda guerra d’indipendenza, a seguito della pace del 1959, il lago di Garda venne diviso in due diverse giurisdizioni: la sponda veronese rimase all’impero, mentre la sponda bresciana entrò a far parte del regno sabaudo. Conseguentemente a ciò, il confine di Stato venne tracciato virtualmente al centro del lago. Quando il Garda era interamente sotto il governo austriaco i collegamenti tra i porti e i paesi da Riva a Peschiera, Desenzano e Salò, toccando tutti i paesi affacciati al lago, venivano serviti da piroscafi battenti bandiera austriaca. Non appena la riva occidentale del lago venne a fare parte del regno sabaudo, la navigazione austriaca continuò collegando soltanto i porti della sponda veronese, da Riva a Peschiera. 

Tutto ciò provocò grave disagio agli abitanti della sponda lombarda, soprattutto perché la riva bresciana era completamente priva di strade di comunicazione carrozzabili. A seguito delle rimostranze degli abitanti, ai paesi affacciati sul lago re Vittorio Emanuele II concesse nell’agosto 1860 che, ogni quindici giorni, una delle cannoniere della base di Sirmione si recasse a turno a Salò e, raggiungendo Limone dopo aver toccato tutti i porti della sponda bresciana, si mettesse a totale servizio degli abitanti della riva lombarda. 

Il giorno 8 ottobre 1860 il servizio fu svolto dalla pirocannoniera Sesia, che alle 6:45 salpò da Fasano con a bordo un gruppo di patrioti veronesi ansiosi di vedere quel tratto di costa bresciana; dopo quattro ore di navigazione, la cannoniera Sesia tutta pavesata a festa raggiungeva il porto di Limone. Dopo una breve visita al paese, ai giardini, alla chiesa e agli agrumeti di Limone, alle 12 in punto, la Sesia ripartì per far ritorno a Salò. 

A bordo della Sesia, oltre alle 41 persone già imbarcate, gitanti più equipaggio, si aggiunsero 19 abitanti di Limone che, approfittando dell’occasione, chiesero di imbarcarsi per raggiungere Salò. Purtroppo, dopo aver percorso un paio di miglia circa, all’altezza della località Bine e a circa mezzo miglio dalla costa, alle ore 12:15 esatte, si sentì un fragoroso boato e si vide una nera nube di fumo alzarsi nell’aria. Tutto ciò era causato dallo scoppio della caldaia della pirocannoniera.

La coperta della Sesia, dove erano sistemati i passeggeri, venne scagliata in aria e lo scafo si sfasciò inabissandosi rapidamente. La forte esplosione fu udita a Limone e in altre località lacustri, finanche sulla sponda opposta, tant’è che il comandante della flottiglia austriaca di Malcesine, che stava osservando la Sesia tutta impavesata, appena sentito e visto quell’orribile disastro mandò una lancia di soccorso sul luogo della sciagura. Distando il luogo soltanto un paio di miglia, la lancia riuscì a raggiungerlo per prima salvando così cinque persone. Per fare ciò aveva dovuto attraversare il confine tra i due stati, reduci di una sanguinosa guerra. Dei 60 occupanti l’imbarcazione se ne salvarono solamente 18 e i pescatori di Limone giunti sul luogo poco dopo non trovarono più nessun corpo: probabilmente gli occupanti erano affondati con il relitto del battello in un punto molto profondo del lago.

Sulle cause dell’esplosione si fecero molte ipotesi tra le quali le cattive condizioni dell’apparato motorio dell’unità, ipotesi subito scartata data la giovane età dell’imbarcazione, che aveva soltanto un anno di vita ed era stata utilizzata pochissimo. Molto probabilmente la causa fu l’eccessiva pressione della caldaia, forse spinta a maggior velocità, non considerando che imbarcava 60 persone mentre usualmente a bordo c’erano soltanto i 18 marinai dell’equipaggio. Inoltre dobbiamo considerare che a quel tempo le caldaie non erano dotate delle valvole di sicurezza.

Un giorno non lontano, passando davanti al vecchio cippo sulla gardesana che commemorava l’evento, mi sono fermato a leggere i nomi, così mi sono ricordato di quella grave sciagura e mi è venuto forte il desiderio di raccontare questa sventura, la più grave capitata sul Lago di Garda, ormai dimenticata da tutti. 

Giuseppe Cinquepalmi