Agosto è, per il mio carattere, un mese di tranquilla meditazione. La città rallentata induce a curiose riflessioni, nel tentativo di vincere la sonnolenza postprandiale; la calma casalinga, protetta dalle spesse mura del palazzo in cui abito, mi evita imbarazzanti bermuda, che espongono con poca dignità ridicole gambette, come direbbe la mia compianta nonna “alla besturli”,  e sollecita i pensieri. Nell’anno in cui Brescia è capitale italiana della cultura molti di questi pensieri si concentrano su questo aspetto.

Sopravvissuto a mesi di inaugurazioni, visite dovute a mostre: alcune da dimenticare, per bruttezza e per mancanza di ogni base scientifica, altre elogiabili più per lo sforzo organizzativo che per novità di studi, e a eventi più o meno effimeri, mi disintossico ragionando sulla quotidianità della cultura. Cultura del vivere civile e già trovo che qualcosa non quadra se si è sentita l’esigenza di sollecitare la nostra “civiltà” mediante il messaggio 'facciamo di Brescia capitale della pulizia e della gentilezza' che è comparso sui mezzi della raccolta dei rifiuti.

Cultura del ricordo che purtroppo ritrovo, forse con toni enfatici, ma ben espressa in epigrafi, marmi e architetture nel Vantiniano: il resto è caos. La città in questi anni si è riempita di totem, cartelli indicatori da far rabbia alla torre di Babele, ma si è dimenticata di dare il giusto peso a due componenti di “arredo urbano” che sono fondamentali per ricordare fatti e persone: il primo utilitaristico, ossia le intitolazioni delle vie il secondo le lapidi celebrative. Se intitolare una via è gesto di sommo ricordo, come possiamo ricordare dinnanzi a targhe come “Fratelli Rinaldini”, davanti alla quale scomodiamo il don Abbondio manzoniano e il suo Carneade, o “G.M. Bernini”, per cui primo pensiero è pensare all’errore di stesura e che la M. sia in realtà una L. e la via sia intitolata al grande scultore barocco?

Per le memorie ricordo due lapidi: una dedicata a Lattanzio Gambara, il più insigne pittore della maniera che abbia avuto la città, in via Gabriele Rosa; l’altra dal testo ormai illeggibile ad un altro illustre bresciano, di cui per ora non rivelo il nome, ubicata in prestigiosa collocazione sul fianco sinistro del portale del Duomo Vecchio. Ma per ora non diamoci pena: agosto cultura mia non ti conosco e se ne riparlerà a settembre, mese di ripensamenti, dopo le “gambette” al sole. 

Giuseppe Merlo