Per molti critici è la “palma d’oro mancata” del 2017, ma ha comunque ricevuto un importante riconoscimento vincendo il Premio della giuria al Festival di Cannes.
Il fallimento di un padre, la follia di una madre, la scomparsa di un figlio: è la storia di Loveless, l’ultimo film di Andrey Zvyagintsev, ma è anche la storia della Russia contemporanea. Dopo lo splendido Leviathan, film che cercava di descrivere una società rurale russa infestata dai “demoni” della corruzione e della prevaricazione, il bravissimo cineasta (Leone d’oro a Venezia nel 2003) si sposta in città e torna all’attacco con un manifesto politico. Girato benissimo, il film alza il tiro della denuncia politica, spostando l’attenzione dall’asse “religioso” verso altri demoni della società russa contemporanea: la famiglia che si sgretola, il capitalismo che annaspa, l’apparenza che comanda la vita quotidiana. Il socialismo è morto da decenni, il bambino nato nell’anno del millenium bug scompare nell’anno della profezia Maya, lasciando presagi infausti per i conflitti che verranno (tra madre Russia e figlia Ucraina, per esempio).
Serratissimo, algido, impattante, profondo, potente, rigoroso, austero.
Complementare con “Directions” (film bulgaro passato da Vestone la settimana scorsa e accolto unanimamente con favore dal pubblico) e con “A gentle creature” (altro capolavoro russo di Cannes 2017 ma non ancora arrivato in Italia), Loveless getta uno sguardo feroce e inesorabile sulla società russa dei giorni nostri.
Del resto la metamorfosi sociale, economica e politica che sta avvenendo “al di là dei balcani” è paragonabile agli sconvolgimenti che hanno coinvolto l’Europa durante gli anni Settanta.
Da qui l’urgenza di un cinema che sappia farsi veicolo di idee, proteste e azioni politiche.
Meglio non si poteva concludere la rassegna se non con uno dei film migliori dell’ultima edizione del Festival.
Nicola Cargnoni