Pubblichiamo questo articolo di Andrea Mora, un giovane bresciano impegnato nel volontariato in Perù. Andrea racconta la storia di una ragazza, una giovane ginnasta, oggi malata di tumore che ha bisogno di curarsi e chiede anche agli amici di 51news di dare una mano. Scriveteci e vi metteremo in contatto con Andrea Mora.
Abbiamo sempre qualcosa da imparare dalle altre persone, sia che queste siano consapevoli di essere il mezzo attraverso il quale apprendiamo, sia che non lo siano. Oggi vorrei dunque parlarvi di Rosa. Rosa mi ha inconsapevolmente aiutato ad aprire gli occhi su un aspetto della società peruviana che non conoscevo pienamente e che è forse il più rilevante tra quelli incontrati: la sanità; perché Rosa è malata, sta lottando contro il cancro, un tumore alle ossa all’altezza della tibia che da mesi la costringe in stampelle, in un paese dove le prestazioni mediche non sono scontate. Per lei totalmente sconsigliata l’attività fisica, imprudente muoversi, sconsigliato finanche stare alzati. Tutti consigli che le stanno stretti, perché Rosa è una ginnasta. Come avrebbe detto il buon Roberto “Freak” Antoni, può essere che la fortuna sia cieca, ma a quanto pare la sfiga ci vede benissimo!
Bravissima nella sua disciplina la Slack line , ma un portento anche negli altri sport che le ho visto personalmente praticare. L’ho conosciuta a dicembre in Pirqa (scuola di arrampicata sportiva) mentre affrontava un 6b con scioltezza ed agilità. Una tarantolina sempre in movimento, capace però isolarsi dal resto del mondo e di concentrarsi sul suo corpo per affrontare anche le sfide più difficili. Una delle poche ragazze che ho sempre visto sorridere e che non ha mai smesso di farlo, neanche ora, nonostante quello che sta passando. Più volte in questi mesi le ho chiesto quali fossero i pareri dei medici e quali fossero le possibili soluzioni previste. Ho sempre ottenuto risposte schive…fino a ieri, quando probabilmente esasperata dalle attenzioni che il gruppo le riservava, ci ha reso partecipi della sua condizione. Avrebbe si bisogno di essere operata quanto prima, ma senza assicurazione medica e non rientrando nelle categorie “protette”, dovrebbe versare 20 mila Soles (5500 Euro)come parte del costo dell’operazione. Nessuna soluzione a breve termine, nessuna data fissata dunque, perché quel budget non lo possiede. Dovrà riuscire a racimolare quel denaro in qualche modo, per sperare di guarire, recuperare l’uso della gamba e riprendere la sua vita, perché l’alternativa sono cure inadeguate, o peggio sono cure palliative.
Si può distruggere una vita per una violenza del tutto immotivata e gratuita, e questo è di per sé un atto gravissimo; lo si può fare, però, anche in modo ponderato ed in linea con i principi di mercato e con le leggi dello stato. Questo secondo modo non è necessariamente il più violento, ma è certamente più meschino, perché può non sembrare un atto di crudeltà; perché razionale; perché perfettamente legale; perché storicamente radicato e finanche compreso agli occhi di quanti sono nati e cresciuti in uno stato come quello peruviano, che fa del liberismo, dell’individualismo e dell’arrivismo i suoi colori nazionali. Come è possibile valutare la vita di una persona in funzione del portafoglio? Come è possibile non fornire le cure mediche alle persone che ne hanno bisogno? Come può uno stato non farsi carico pienamente della salute dei suoi cittadini? Nel nostro paese questo potrebbe essere considerato omissione di soccorso statale; un reato contro la persona, contro la vita e l’incolumità individuale. Non importa chi sia e quanti soldi abbia in tasca il paziente in difficoltà, il mancato compimento di una azione giudicata come doverosa dovrebbe essere punibile punto e basta.
Nell’esatto momento nel quale mi parlò del costo dell’operazione, sentì formarsi in me uno di quei groppi amari alla gola, che mi impedirono di dare una qualunque risposta sensata… semplicemente mi limitai a deglutire, guardandola sbigottito; perché la sua vita resta appesa ad un filo sottilissimo e come troppo spesso accade, tutto si riduce ad una questione di denaro! Che fare dunque? Già i ragazzi della scuola si sono organizzati, hanno organizzato un contest di arrampicata per raccogliere fondi, aiutano con donazioni ed altro. Io non potevo stare semplicemente a guardare. Per prima cosa avrei dovuto informarmi, informarmi su ciò che è il sistema sanitario nel paese e poi informare altri; scrivere la storia di Rosa, che è la storia di tutti quei cittadini peruviani che si trovano a dover pagare di tasca propria i servizi di un sistema sanitario che non funziona e che non è equo. Un modo per rendergli giustizia; il mio modo.
Non è che non vi sia un sistema sanitario nazionale in Perù, è che per accedervi si deve far parte di una categoria specifica o essere iscritti ad un fondo specifico, o avere un assicurazione specifica, e tutto questo comunque non è garanzia di copertura totale delle spese o di buona qualità del servizio. Il sistema di salute peruviano è misto “pubblico” e privato. Il settore privato detiene il 7% delle infrastrutture sanitarie nazionali ed offre generalmente servizi di primo e secondo livello (più basici), mentre al settore pubblico appartengono il 93% delle restanti strutture sanitarie, che possono offrire servizi specialistici fino ai più alti livelli. Al contrario che in Italia il sistema non è però gratuito per i cittadini; questo si finanzia attraverso un sistema contributivo indiretto e di uno diretto. Del sistema contributivo diretto fa parte la “seguridad social” (ElSalud e EPS) che copre quella parte di popolazione salariata (quindi lavoratori stipendiati), le cui aziende, a cambio del trattenimento di una quota di salario, coprono le eventuali spese sanitarie (ovviamente stipulando accordi con particolari cliniche e non con tutte, o coprendo magari una % delle spese e non tutte, o solo particolari tipi di servizi). Si stima che circa il 42% della popolazione sia beneficiaria di questo tipo di assicurazione, il restante 58%, che non è coperta da “seguridad social”, può accedere all’Assicurazione Integrale per la Salute (SIS), offerta dal Ministero della Salute (MINSA) e riservata a tutti quelli che si trovano nella fascia di popolazione considerata in condizioni di povertà ed estrema povertà (fascia che dipende solo dal reddito). Per i restanti: i senza lavoro momentaneo, i lavoratori del settore informale, i liberi professionisti e piccoli imprenditori agricoli che non versano in una situazione di grave povertà, che non lavorano come dipendenti di una azienda, ma che non possono permettersi un “sicuro” privato, il governo offre prestazioni sanitarie in cambio di una “cuotas de recuperación”, una specie di “ticket” di entità variabile in funzione del soggetto e della prestazione richiesta. Questo sistema è fragile e di seguito possiamo riassumerne i problemi principali:
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Le assicurazioni private e quelle stipulate con ESP non coprono mai il 100% delle prestazioni richieste e (come tutte le assicurazioni private) contengono codici codicilli e postille che rendono la cosa ancora più fastidiosa.
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Se si è stati iscritti anche una sola volta alla “seguridad social”, non ci si può rivolgere al SIS, ma bisogna pagare la “cuotas de recuperación”.
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Tale “cuotas de recuperación” pare del tutto discrezionale, nonostante le ricerche non si riesce a capire su che basi si definisca.
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Permane dunque una quota che varia dai 10 al 20 % della popolazione che alla fine è totalmente esclusa da qualunque prestazione sanitaria.
Non è tutto; il servizio sanitario nazionale è intasato e inadeguato a rispondere all’effettiva domanda perché sono milioni gli abitanti che si dirigono agli ospedali pubblici, con un conseguente sovraffollamento di strutture non adatte a ricevere una richiesta così elevata. Secondo la CIA World Factbook in Italia esistono 3.5 posti letto ogni 1000 abitanti mentre in Perù solo 1.5 (come ranking è sotto il Congo, Ruanda e Zimbawe tanto per capirci ) e del totale dei posti disponibili solo il 50% si trova nel pubblico. Questa situazione è la conseguenza di una politica governativa che negli ultimi anni anziché investire denaro nel settore lo ha diminuito.Secondo la Banca Mondiale la spesa nazionale in sanità, come percentuale del PIL, è diminuita di quasi un punto percentuale dal 2008 al 2011, passando da 5.7% al 4.8 %. Questo porta il Perù ad essere all’ultimo posto nella classifica delle spese sanitarie in percentuale al PIL nell’intera regione Sud Americana. Gli scarsi investimenti pubblici, l’offerta insufficiente e le lunghe liste d’attesa rendono quasi impossibile far affidamento al servizio pubblico. Servizio che, come mi hanno confidato diverse persone, è utile solo se si è quasi moribondi. Per una semplice rottura del gomito si rischia di aspettare 3 giorni prima di essere visitati, in quanto si tende a dare precedenza, ovviamente, a codici più gravi. Inoltre quando si arriva dal medico, più che ad una consulta sembra assistere ad un’offerta di prodotti e lista di preventivi in funzione di quanto si vuole e si può spendere ed in funzione dei tempi d’attesa successivi.
Ma tutto questo l’europeo difficilmente lo capisce, magari nemmeno gli interessa tanto, soprattutto se è nella condizione privilegiata nella quale versiamo noi del Servizio Civile, che abbiamo assicurazioni, indicazioni per ospedali di qualità e sicuri, agganci con cliniche specialistiche ed un “rimborso spese” che è il triplo del salario medio peruviano, senza contare che in qualunque momento potrebbe comunque tornare a casa per le prestazioni più impegnative. In questo quadro Rosa è importante, ci ricorda che qui si combatte ogni giorno per la vita, la propria o quella dei propri cari; ci ricorda che quelli che noi consideriamo diritti fondamentali non sono scontati; ci ricorda che la sanità pubblica e gratuita è un gioiello prezioso per cui lottare; ci ricorda quanto siamo fortunati, nonostante tutto, ad essere nati in Italia e non in un paese dove il valore della vita umana è direttamente proporzionale al proprio conto in banca.
Andrea Mora