I murales che bella cosa sono? Li osservi e sembra che ti catturino. Giocano con i colori e con la prospettiva. Attirano il passante e lo spingono in un’altra dimensione. Ed è cosa straordinaria vedere la loro realizzazione…vedere il loro nascere e finire in una serie di linee, ombre e sfumature che apparentemente sembrano segni fatti a casaccio. E invece creano un capolavoro.
I murales nascono agli inizi del Novecento in Messico e si diffondono in tutta l’America latina. Si crea pian piano un movimento artistico: il muralismo. Questi dipinti sono pezzi d’arte destinati al popolo. Rappresentano, infatti, in quegli anni, una forma di protesta sociale.
Negli anni Sessanta si diffondono anche in Europa: colorano le periferie e le aree piu’ degradate delle città. I soggetti rimangono principalmente raffigurazioni allegoriche ispirate agli ideali politici.
Molti famosi artisti si avvicinano e diventano promotori di questo movimento: da Diego Rivera, marito di Frida Kahlo a Pablo Picasso.
Poi nascono i graffiti…che sono forme semplificate di murales. Sono delle scritte elaborate che rispondono a precisi codici stilistici. Nascono negli anni Settanta a New York e sono principalmente un’espressione della cultura hip-hop.
Infine, negli ultimissimi anni, nascono le “tag”. Se sino ad ora si è parlato di espressioni artistiche, ora bisogna fermarsi. Le “tag” sono semplici firme per, in qualche modo, ottenere la massima notorietà. Non c’entrano nulla con la street art e gli stessi realizzatori di graffiti e murales ne prendono le distanze.
Se murales e graffiti li troviamo nelle periferie, sui muri delle ferrovie, nei sottopassaggi, nelle stazioni e nelle metropolitane, le “tags” le troviamo ormai un po’ ovunque imbrattando e involgarendo i muri delle nostre case e dei nostri centri storici. Queste scritte mancano di qualsiasi tecnica espressiva, di qualsiasi logica e riferimento socio-culturale. Queste semplici scritte e questi simboli affrettati mancano di una cultura strutturata di riferimento.
Se i murales e i graffiti mi emozionano, questi scarabocchi mi infastidiscono.
Per cercare la fama, per apparire, per vedere la propria firma ovunque, esistono altri mezzi. Altri modi. Quello di imbrattare i muri di un paese è il metodo piu’ vigliacco.
Sono sempre stata attratta da graffiti e da murales: credo siano uno spettacolare metodo d'espressione...ma scrivere cose a caso sui muri dei centri storici non ha nulla a che vedere nè con l'arte, nè con la manifestazione delle proprie idee o del proprio malessere esistenziale.
Eppure è un fenomeno diffusissimo soprattutto negli ultimi anni. E’ la dimostrazione di un’ importante carenza culturale e di un mancato senso civico. E’ la dimostrazione che in qualcosa stiamo sbagliando: non riusciamo piu’ a trasmettere ai nostri ragazzi il rispetto dei nostri luoghi. Il rispetto per i luoghi è il rispetto per le persone. Viviamo nell’epoca del “ tutto è concesso” dove i valori principali sono “l’apparire e l’avere successo”. Ma per avere successo, per diventare qualcuno, le firme sui muri non servono a nulla. Servono ideali e una cultura personale che vada ben oltre alle “tag” fatte con le bombolette spray.
Invece di firmarvi i muri, firmatevi le idee. Scrivetevi sogni da realizzare.
Marcella Bacchetti – Assessore politiche sociali comune di di Vestone